LA RELIGIOSITÀ POPOLARE IN VENETO

Nel definire la "religiosità popolare" come quella che si esprime, quasi spontaneamente, nel comune sentimento collettivo verso la religione cattolica, i suoi simboli, i suoi riti e le sue credenze, non c'è nessun intento svalutativo rispetto alla religiosità, razionalmente mediata, delle persone colte e dei teologi. Ciò che qualifica fondamentalmente l'atteggiamento religioso, quando è autentico, è la fede, cioè l'adesione incondizionata al messaggio rivelato e all'impegno morale che ne deriva. Quindi anche le espressioni più comuni e tradizionali di quella adesione, manifestata con la semplicità di gesti e comportamenti individuali e collettivi delle comunità culturalmente meno evolute, meritano il rispetto che si deve all'uomo in quanto, come dicono gli antropologi, "homo religiosus". Questa comune identità antropologica dell'uomo nei confronti della religione assume, nei diversi ambiti territoriali e culturali, connotazioni particolari e colorazioni le più diverse, talora fino alla suggestione folkloristica, per cui la medesima pratica religiosa, ad esempio la processione del Venerdì Santo, acquista in Spagna o in Germania, aspetti esteriori ed emotività collettive molto diverse e peculiari. Il Veneto è ancora, nonostante il generale processo di areligiosità e laicizzazione proprio della modernità, una regione tra le più legate alla pratica religiosa e alle sue tradizioni. La parrocchia è tuttora una realtà associativa ed istituzionale molto influente, sia sul piano della aggregazione sociale, sia su quello del costume. In questo contesto alcuni luoghi, molto noti sul piano religioso e non solo, continuano ad essere riferimenti forti della pratica religiosa veneta, soprattutto fra il popolo. Sant'Antonio da Padova, la Madonna di Monte Berico di Vicenza, San Marco e la Chiesa della Salute a Venezia, quella di Sant'Augusta a Vittorio Veneto e quella della Madonna dei Miracoli a Motta di Livenza, sono tuttora oggetti di devozione e luoghi di frequentazione di tanti abitanti del Veneto e di altri luoghi, anche lontani. Chi si reca alla basilica del Santo a Padova ne ha una prova tangibile, in qualsiasi giorno ci vada. Le bancarelle con le candele ed altri oggetti di devozione, allineate sul sagrato, sono sempre frequentate, così come lo splendido chiostro del convento attiguo, da cui si gode la spettacolare vista della fiancata est della basilica, sovrastata dalle cupole e dai minareti che fanno, di questo grandioso e singolare edificio, una delle più alte testimonianze della capacità dell'uomo di armonizzare, in una compiuta unità creativa, stili e tradizioni architettoniche diverse, dal romanico al bizantino, dal gotico all'arabo. Tra gli archi ed i giardini interni di questo chiostro, ancora oggi, alcuni pellegrini siedono sui muretti e sui sedili di pietra, a consumare il pranzo al sacco che si sono portati da casa. L'urna marmorea che contiene il corpo del santo viene toccata da una lunga fila di devoti che, apparentemente indifferenti ai capolavori marmorei ad alto rilievo dei Lombardo o di Jacopo Sansovino che decorano le pareti della cappella con le storie del Santo, pregano devotamente mentre mettono la mano sul marmo della tomba.
Arca del Santo, Basilica di Sant'Antonio (Padova)
Dal colle dove sorge la basilica di Monte Berico, si gode un panorama straordinario, con in primo piano la città, dominata da torri e campanili, al cui centro spicca il tetto a carena della Basilica Palladiana, e, sullo sfondo, l'imponente schiera ricurva delle montagne, di un azzurro diverso, ma ugualmente suggestivo, di quello del cielo. Anche in questo caso la gran parte dei pellegrini, paga dell'atto di devozione compiuto, non sembra rimanere particolarmente colpita o incuriosita dalle importanti testimonianze artistiche che si trovano all'interno del complesso conventuale, quali la grande tela con il Convito di san Gregorio Magno di Paolo Veronese, che si trova nel refettorio, o la pala con la Pietà di Bartolomeo Montagna.
Cristoforo Rosio, Santuario di Monte Berico (1653) con in primo piano a sinistra l'arco delle Scalette, punto di accesso al santuario dalla città

A questo punto della nostra breve carrellata su alcune manifestazioni più significative della religiosità popolare veneta, mi sia consentito un accenno ad una ricorrenza che veniva comunemente designata come "festa della Madonna di Caravaggio". Si celebrava in primavera, presso un piccolo santuario di architettura neoclassica, situato nella campagna di Barcon di Vedelago, nel trevigiano e testimoniava di una devozione ingenua e quasi "primordiale" oggi pressoché estinta.
Santuario della Madonna del Caravaggio, Barcon di Vedelago (Treviso)
Questa chiesetta isolata e immersa nel verde dei campi, rievocava, nel nome, quello del ben più noto santuario della omonima cittadina lombarda, ma che, nella zona tra Treviso e Castelfranco, e ben oltre, rivendicava una sua autonoma fama, dovuta alla protezione, che a quella Madonna veniva attribuita, contro i malefici del Diavolo e di chi se ne serviva, come streghe e maghi. Infatti, il piccolo sagrato del santuario, nel giorno della sua festa, pullulava di devoti e di curiosi, che accompagnavano o scrutavano con viva curiosità mista a paura, alcuni malcapitati, per lo più affetti da epilessia, che, anche a causa della tensione emotiva propria e altrui, spesso avevano un accesso della loro malattia, che si manifestava con irrigidimento motorio, bave alla bocca e stravolgimento degli occhi. Davano così involontaria conferma, ai molti presenti, ignari di medicina ed alla loro prima esperienza del fenomeno, che la "saga degli indemoniati", che essi si aspettavano, si verificava realmente. In questo piccolo bailamme agreste tutto si rimescolava: sacro e profano, curiosità e devozione, ritualità e folclore, fede autentica e superstizione, gita e pellegrinaggio. Certo, anche questa era "religiosità popolare", sincera nell'ingenua psicologia di molti, ma era una pietà certamente bisognosa di purificazione. Pena il passaggio diretto, nella modernità del dubbio scettico e dello scientismo superficiale, in cui oggi ci troviamo, da una religiosità semi-superstiziosa ad un ateismo pratico o militante, in cui l'identità religiosa e culturale del Veneto può venire definitivamente sommersa.


Armando Ervas