LA SPAZIALITÀ NELLA PITTURA VENETA. DALLA PROSPETTIVA CROMATICA ALLA CAMERA OTTICA

La capacità di rappresentare illusionisticamente la profondità spaziale è uno dei caratteri fondamentali che segnano l'inizio della civiltà figurativa rinascimentale. Sappiamo che il primo sistema, alla base dei successivi sviluppi, fu quello prospettico lineare basato sul punto di fuga elaborato da Filippo Brunelleschi (1377 – 1446 inotrno al 1416.
La pittura veneta, e veneziana in particolare, dovette attendere diversi decenni prima che il nuovo linguaggio figurativo rinascimentale in toscana, grazie al soggiorno di Donatello (1386 – 1466) a Padova tra il 1443 e il 1453, cominciasse a diffondersi in Veneto e nel nord Italia. Venezia, più legata di Padova alla tradizione figurativa bizantina, dovette attendere Giovanni Bellini (1430 circa – 1516) per avere il suo primo artista rinascimentale, il quale però, dopo essersi emancipato dall'influsso tardogotico del padre Jacopo (1400 circa – 1470/'71) grazie all'esempio del cognato Andrea Mantega (1431 – 1506), cominciò a elaborare un metodo di rappresentazione spaziale nuovo e complementare a quello geometrico lineare toscano: la cosiddetta prospettiva cromatica.
Giovanni Bellini
Orazione nell'orto tempera su tavola 81x127 cm, Londra, National Gallery
Si tratta di un metodo che prevede la disposizione in primo piano dei colori caldi e sui piani che si susseguono in profondità colori progressivamente più freddi. Tale prospettiva si intravede già a partire dall'Orazione nell'orto della National Gallery di Londra, degli anni sessanta del Quattrocento. Tale soluzione andrà progressivamente accentuandosi fino agli inizi del secolo successivo come è possibile vedere, tra i tanti esempi, nel cosiddetto Tramonto di Giorgione alla National Gallery di Londra.
Giorgione
Tramonto (particolare), 1507-1508 circa, olio su tela 73,3x91,4 cm, Londra, National Gallery
Nel frattempo però la raffigurazione dello spazio assume anche connotazioni diverse e differenti tecniche di rappresentazione. È sempre Giovanni Bellini che con la pala per la chiesa veneziana di San Giobbe del 1487 circa, ora conservata alle Gallerie dell'Accademia, attraverso il collegamento tra lo spazio reale dell'altare marmoreo e lo spazio dipinto, crea un gioco illusionistico finalizzato alla realizzazione di uno spazio sacro che serviva anche a bilanciare un po' la volumentria interna della chiesa, che fu una delle prime a Venezia ad essere ristrutturata in forme rinascimentali, creando una cappella dipinta sulla parete destra in opposizione a quelle reali costruite sulla parete opposta.
Giovanni Bellini
Pala di San Giobbe (ricostruzione virtuale sull'altare originale), 1487 circa, olio su tela 471x258 cm, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Un concetto spaziale per certi aspetti del tutto opposto è quello della pittura narrativa, costituito da una serie di grandi dipinti su tela, i cosiddetti teleri, in cui vi sono raffigurate scene piuttosto ampie con architetture e figure che creano suggestive ambientazioni nelle quali si svolgono le vicende di vario genere di personaggi sacri, oppure immagini della Venezia di fine Quattrocento che fanno da sfondo a episodi miracolosi, come quelli dipinti dal fratello maggiore di Giovanni, Gentile Bellini (1429 – 1507), specializzato proprio in questo genere pittorico, per la Scuola grande di San Giovanni Evangelista che nel 1369 aveva ricevuto una reliquia ritenuta della vera croce di Cristo. Il più celebre di questi episodi è forse quello della Processione in Piazza San Marco del 1496 ora conservato alle Gallerie dell'Accademia. Nonostante la profusione di dettagli che possiamo osservare nel dipinto l'effetto d'insieme tende ad appiattire l'immagine, quasi che fossimo di fronte a una grande decorazione. Ciò che importava non era evidentemente la creazione di uno spazio illusionistico ma la descrizione minuziosa di una serie di particolari che doveva assimilare questo dipinto al valore di un documento storico, leggibile in tutti i suoi dettagli. In questo modo la visione d'insieme, e di conseguenza anche la sua percezione spaziale, viene quindi colta in modo più ridotto.
Gentile Bellini
Processione in Piazza San Marco, 1496, olio su tela 367x745 cm, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Nel secolo successivo il gioco illusionistico realizzato sulla pala d'altare da Giovanni Bellini venne trasformato da Tiziano (1488/'90 – 1576) con due capolavori realizzati per la Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Il primo dei due, l'Assunzione della Vergine conclusa nel 1518 per l'altar maggiore della chiesa, crea uno spazio non più illusivo e geometrico come in Bellini ma uno spazio realizzato soprattutto con la luce che si collega scenograficamente a quella dell'abside che penetra dalle alte e strette trifore gotiche in un turbine emozionale protobarocco.
Tiziano
Assunzione di Maria Vergine, 1516-1518, olio su tavola 690x360 cm, Venezia, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari
Diversi anni dopo, invece, nel 1526 per la Madonna con il Bambino e i santi Pietro, Francesco, Antonio e membri della famiglia Pesaro commissionata dall'omonima famiglia veneziana, egli rompe definitivamente con la costruzione simmetrica delle sacre conversazioni nelle pale d'altare, contruendo una grandiosa architettura collocata in diagonale che detrmina il ritmo compositivo dell'opera e che mostra il carattere eminentemente secnografico dell'architettura dipinta. Quest'ultima non costituisce più uno spazio coerentemente raccordato con quello reale, ma serve solo a conferire un tono solenne alla composizione, senza preoccuparsi del fatto che le due imponenti colonne appaiono difficilmente coerenti nei termini di un'architettura reale. È uno dei caratteri che ci parla già di come tale dipinto anticipi la sensibilità manierista.
Tiziano
Pala Pesaro, 1526 circa, olio su tavola 478x268 cm, Venezia, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari
La stagione manierista attraversata dall'arte veneziana, temperata di maggiore classicismo e naturalismo piuttosto che nel resto d'Italia e d'Europa, trova alcuni episodi di straordinaria unicità. È il caso degli affreschi realizzati da Paolo Veronese (1528 – 1588) circa tra il 1560 e l'anno successivo nella celebre Villa Barbaro di Andrea Palladio (1508 – 1580), il più noto esempio di villa ad uso agricolo realizzata dal grande architetto padovano di origine e vicentino di adozione. Veronese realizza una sorta di moltiplicazione degli spazi interni della villa attraverso una serie di vedute prospettiche e paeaggistiche il tutto entro un raffinato gioco di trompe l'oeil che permettono agli spazi della villa di animarsi della presenza di chi lì vi abitava. Secondo un'opinone storica diffusa questo intervento, connotato in modo così fortemente illusionistico, non dovette piacere molto a Palladio che probabilmente vi vide alterata la percezione volumetrica della sua architettura in maniera non confrome alla sensibilità spaziale espressa dal suo progetto.
Paolo Veronese
Villa Barbaro, affreschi della Sala a crocera, 1561, affreschi, Maser
Che Veronese sappia relazionarsi con lo spazio reale in maniera molto disinvolta e creativa si può osservare anche nella chiesa veneziana di San Sebastiano, l'edificio che conserva il maggior numero di interventi pittorici dell'artista, tra i quali vi è raffigurato un martirio di San Sebastiano nel quale i suoi aguzzini, raffigurati nell'atto di scagliare le frecce, sono rappresentati sul lato opposto della navata in corrispondenza con la figura del santo martirizzato, immaginando che le frecce abiano attraversato lo spazio reale della facciata.
Gian Antonio Fumiani
Martirio di San Pantaleone, 1680-1704 circa, olio su tela, Venezia, chiesa di San Pantalon
Nel secolo successivo la stagione artistica del barocco non lascia testimonianze particolarmente significative della raffigurazione dello spazio, ad eccezione della decorazione del soffitto della chiesa veneziana di San Pantalon la cui realizzazione impiegò il pittore Gian Antonio Fumiani (1640 – 1710) per quasi un quarto di secolo, dal 1680 fino al 1704. Quest'opera ha la particolarità di essere stata realizzata su una vasta tela invece che nella consueta tecnica dell'affresco, cosa che rende questa decorazione pressochè un caso unico. La sua rappresentazione illusionistica di uno spazio che sembra proseguire oltre il limite fisico dell'architettura reale aprendo sul cielo alla visione del Martirio di San Pantalon richiama gli illustri modelli barocchi avvalendosi della sua abilità di quadraturista, cioè di specialista negli scorci prospettici da sotto in su che egli aveva imparato presso la bottega bolognese del pittore Domenico Ambrogi.
Arriviamo così al Settecento e qui possiamo osservare due diverse rappresentazioni dello spazio, una in continuità con lo spirito Barocco, l'altra frutto di una sensibilità nuova.
Giambattista Tiepolo
Sacrificio di Ifigenia, 1757, affresco 350x700 cm, Vicenza, Villa Valmarana
La prima delle due è rappresentata da Giambattista Tiepolo (1696 – 1770) si nota in particolare nell'affresco decorativo di uno degli ambienti della vicentina Villa Valmarana raffigurante il Sacrificio di Ifigenia (1757) da parte del padre Agamennone, nel quale la scena si volge all'interno di una loggia architravata dipinta che si collega allo spazio reale della sala. Le colonne dipinte in primo piano separano e allo stesso tempo rendono contiguo lo spazio dipinto con quello reale, ma qui viene aggiunto un nuovo elemento di illusionismo spaziale costituito dalla nuvola sulla sinistra sulla quale Cupido, per ordine di Artemide, porta con sé la cerbiatta da sacrificare al posto della sventurata Ifigenia. Questa parte dell'episodio sembra stare al di qua dello spazio dipinto, cioè in quello reale dello spettatore e tale soluzione illusionistica è resa ancora più efficace dal fatto che Agamennone e Ifigenia non si sono accorti dell'arrivo della nube perchè essa deve ancora concludere il suo percorso dallo spazio reale a quello dipinto.
Canaletto
Disegno preparatorio del campo santi Giovanni e Paolo, Venezia, Gallerie dell'Accademia, Gabinetto Disegni e Stampe; camera ottica utilizzata da Canaletto, Venezia Museo Correr, Il campo santi Giovanni e Paolo, 1738, olio su tela, Londra, Royal Collection
Invece la nuova sensibilità che caratterizza la pittura veneziana del XVIII secolo nella raffigurazione dello spazio è l'approccio "scientifico" di Canaletto (1697 – 1768) attraverso l'uso di una camera ottica che gli permette di riportare sulla tela una proiezione "fotografica" dell'immagine reale, emblematico dello spirito razionalista dell'Illuminismo. L'uso di questo strumento permette al pittore di rappresentare in modo talmente realistico da superare le capacità dell'occho umano quanto ad ampiezza del raggio visivo, come avviene con il grandangolo della macchina fotografica. Si tratta anche in questo caso, a ben vedere, di un modo di giocare con le regole dell'illusionismo prospettico, consapevole del loro potere di condizionamento dell'occhio umano. In questo modo chi osserva i dipinti di Canaletto è come fosse attratto al suo interno da questo ampio raggio visuale che ci fa quasi essere spettatori partecipi delle scene raffigurate.
Giovanni Battista Piranesi
Il ponte levatoio (serie delle Carceri d'invenzione), 1745, incisione
Ci piace concludere questa carrellata con un veneto fuoriuscito quale Giovanni Battista Piranesi (1720 – 1798) che si affermò a Roma come incisore e nel campo dell'architettura, soprattutto teorica, a cui si deve il recupero di interesse per gli edifici della Roma classica. L'artista, originario di Mogliano Veneto, realizza in età giovanile, nel 1745, una prima edizione di quattordici incisioni raffigurati le cosiddette Carceri, architetture d'invenzione costituite da possenti edifici costruiti con una serie di strutture ad arco e scale che allo stesso tempo sembrano negare lo spazio ed espanderlo fuori misura, con un esito espressivo che anticipa la cultura romantica del "rovinismo" e continuerà a esercitare una notevole suggestione nei tempi a seguire, tanto da suscitare l'interesse nel XIX secolo di alcuni artisti surrealisti.
Da questo panorama storico artistico che attraversa tre secoli possiamo osservare come la pittura veneta si sia caratterizza per una estrema libertà nel trattare la rappresentazione dello spazio, più sentito nei suoi caratteri emozionali che in quelli razionali, proprio attraverso la manipolazione di questi ultimi. La luce e il colore sembrano essere i protagonisti di queste visioni spaziali, non tanto il disegno e le regole prospettiche. Anche nella raffigurazione dello spazio, quindi, l'arte veneta manifesta coerentemente il suo carattere peculiare in cui naturalismo e spirito umano sono legati insieme da uno sguardo lirico che avvolge e accomuna tutte le cose in una medesima materia pittorica.


Redazione di venetocultura.org