VENEZIA E LEONARDO. ALLE ORIGINI DELLA "MANIERA MODERNA"

La mostra alle Gallerie dell'Accademia di Venezia ancora aperta fino a domenica 1 dicembre, che presenta più di cinquanta disegni del maestro toscano, ci da l'occasione per accennare brevemente ad uno dei temi più affascinanti, controversi e misteriosi di tutta la storia dell'arte: il rapporto della pittura veneta con Leonardo. Vasari per primo inquadra la questione nelle sue Vite ponendo in evidente rapporto di subordinazione la nascita della pittura veneta del Rinascimento maturo, quella da lui definita la "maniera moderna", al passaggio di Leonardo nel capoluogo lagunare, alla cui opera si sarebbe ispirato Giorgione, capofila della nuova pittura veneziana del XVI secolo. A distanza di oltre cinquecento anni, complice la scarsità di documenti storici, su tale questione fondamentale per lo sviluppo dell'arte veneta non si è ancora fatta chiarezza.
Leonardo, Ritratto di Isabella d'Este, 1500 circa, carboncino, sanguigna e pastello giallo su carta, 63 x 46 cm, Parigi, Musée du Louvre
Questo è quanto ci racconta Vasari quando nel 1550 scrive nella biografia giorgionesca delle sue Vite come "aveva veduto Giorgione alcune cose di mano di Lionardo molto fumeggiate e cacciate, come si è detto, terribilmente si scuro: e questa maniera gli piaque tanto che mentre visse sempre andò dietro a quella e nel colorito ad olio la imitò grandemente" [1]. In un altro passo, questa volta nella biografia tizianesca aggiunta all'edizione delle Vite del 1568, riferisce come "venuto poi, l'anno circa 1507, Giorgione da Castelfranco, non gli piacendo in tutto il detto modo di fare, cominciò a dare alle sue opere più morbidezza e maggiore rilievo con bella maniera" [2], passo che sembra legare a quella data la svolta giorgionesca a seguito della conoscenza dell'opera di Leonardo. La presenza di Leonardo a Venezia è testimoniata nella primavera del 1500 quando fuggendo da Milano nel 1499 a causa dell'occupazione francese egli si ferma per un breve periodo prima a Mantova, dove appronta lo studio per il Ritratto di Isabella d'Este ora al Louvre e successivamente presso la Serenissima. Sette anni dopo tuttavia la sua presenza a Venezia non è attestata da alcun documento ma ciò non esclude un altro suo passaggio nella città lagunare dopo quello di inizio secolo. La derivazione della nuova pittura giorgionesca da Leonardo ha diviso gli studiosi tra chi ha ritenuto l'affermazione di Vasari solo una manifestazione del suo ben noto toscano-centrismo e chi ha effettivamente riconosciuto l'influenza del maestro vinciano sulla nascita della pittura veneziana del Cinquecento. Va innanzi tutto detto che accogliere la seconda ipotesi, che storicamente appare la più verosimile, non comporta ovviamente una svalutazione del carattere originario della pittura veneta, come forse era un po' nelle intenzioni dello stesso Vasari, ma anzi riconosce in quest'arte, come nel complesso della sua identità culturale, la capacità di Venezia di assorbire e far proprie le influenze più diverse per creare qualcosa di unico proprio perché frutto di una sintesi così ricca.
Giorgione, I tre filosofi, 1507-1508 circa, olio su tela, 123,5 x 144,5 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Basti guardare all'opera pittorica di Giorgione stesso in cui convivono classicismo centro-italiano e espressionismo nordico, reminiscenze gotiche, influenze fiamminghe e morbidezze, appunto, leonardesche. In che modo Giorgione dunque si ispira all'opera di Leonardo elaborandola in modo originale? Creando un equivalente dello sfumato leonardesco con i colori, quello che comunemente viene detto, con un termine improprio, "tonalismo". Tale termine è usato probabilmente con l'intenzione di sottolineare la nuova qualità del colore giorgionesco nel senso di una maggiore unità cromatica complessiva all'interno dell'opera, ma ciò non è dato da un'uniformità di toni, ma dal fatto che, come spiega correttamente Cesare Brandi, si passa "da colore locale, da superficie in tinta, a colore in profondità, spaziale" [3]. Se fino ad ora la costruzione dei volumi veniva data in primis dal contrasto di luce ed ombra mentre il colore era una connotazione successiva, ora è il colore stesso a contrastare la luce e in questo modo acquista spessore, volume, e si fa spazio.
Tiziano, Daniele e Susanna (o Cristo e l'adultera), olio su tela, 137 x 180 cm, Glasgow, Kelvingrove Art Gallery and Museum
Sebastiano del Piombo, Giudizio di Salomone, olio su tavola 208 x 318 cm, Kingston Lacy, Dorsetshire (collezione privata)
Attraverso i passaggi dall'ombra al colore e viceversa lo spazio prospettico quattrocentesco costruito per piani geometrici e linee di contorno diventa più fluido, un continuum che rende la percezione complessiva più unitaria in maniera del tutto analoga allo sfumato leonardesco. Questo perché l'occhio tende a non leggere più singole forme in uno spazio geometrico, ma le forme come spazio, che trapassano dall'una all'altra e tutte si legano, compreso lo spazio "vuoto", in quanto, come intuito da Leonardo, anche l'aria ha uno spessore che sta di fronte all'occhio di chi guarda.
Leonardo, Cenacolo, 1494-1498, tempera grassa su intonaco, 460 x 880 cm, Milano, Refettorio della chiesa di Santa Maria delle Grazie
All'esempio leonardesco sono sensibili anche i più giovani Tiziano Vecellio e Sebastiano del Piombo che se da un lato seguono Giorgione sulla via della nuova pittura tonale, dall'altro guardano a Leonardo per un altro aspetto su cui l'artista di Castelfranco si era solo in parte misurato, quello della gestualità nella resa delle espressioni. In entrambi i più giovani artisti veneziani questo processo di maturazione si può osservare in due opere realizzate quasi in contemporanea proprio intorno al 1507 e che sono rispettivamente il Daniele e Susanna per Tiziano e il Giudizio di Salomone per Sebastiano.
Entrambe le opere sono caratterizzate da un pathos piuttosto evidente la cui resa efficace è il frutto di un'elaborazione faticosa e complessa testimoniata per entrambi i dipinti dalle indagini radiografiche che ne hanno rivelato la notevole quantità di pentimenti e ripensamenti, in alcuni casi visibili anche ad occhio nudo. Si trattava della resa di ciò che Leonardo chiamava i "moti dell'animo", cioè i sentimenti che si esprimono in gesti ed espressioni il cui manifesto più noto e quello del Cenacolo.
A tutto ciò la pittura veneta saprà aggiungere la qualità emotiva del colore la cui accesa vibrazione di luce darà una connotazione più lirica che avrà nei secoli numerosi ammiratori tra i grandi artisti che faranno la storia dell'arte europea.



Redazione di venetocultura.org



1 G. Vasari, Vita de' più eccellenti Pittori, Scultori et Architettori scritte da Giorgio Vasari Pittore Aretino, Firenze 1568, ed a cura di G. Milanesi, I-IX, Firenze 1878-1885, ristampa 1906, VII, p. 427
2 G. Vasari, Vita de' più eccellenti Pittori, Scultori et Architettori scritte da Giorgio Vasari Pittore Aretino, Firenze 1568, ed a cura di G. Milanesi, I-IX, Firenze 1878-1885, ristampa 1906, IV, p. 92
3 C. Brandi, L'ombra di Giorgione, in "Arte Veneta", XXXII, 1978, p. 87.