IL "PARAGONE DELLE ARTI" A VENEZIA, TRA MITO E REALTÀ

In un celebre passo delle Le vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani Giorgio Vasari, nella biografia che egli dedica a Giorgione, racconta come l'artista di Castelfranco "ragionando con alcuni scultori nel tempo che Andrea Verrocchio faceva il cavallo di bronzo, che volevano, perchè la scultura mostrava in una figura sola diverse positure e vedute girandogli attorno, che per questo avanzasse la pittura, che non mostrava in una figura se non una parte sola;... Dipinse uno ignudo che voltava le spalle ed aveva in terra una fonte d'acqua limpidissima, nella quale fece dentro per riverberazione la parte dinanzi; da un de' lati era un corsaletto brunito che s'era spogliato, nel quale era il profilo manco, perchè nel lucido di quell'arme si scorgeva ogni cosa; dall'altra parte era uno specchio che drento vi era l'altro lato di quello ignudo; cosa di bellissimo ghiribizzo e capriccio,... e mostrava in una vista sola del naturale più che non fa la scultura:..." [1]. Questo dettagliato passo vasariano, già presente nella prima edizione del 1550 della sua celebre opera, non è il frutto di una visione diretta del dipinto descritto, data l'impossibilità per un corpo visto di schiena di riflettere il lato opposto su uno specchio d'acqua, ma piuttosto una rielaborazione fantasiosa di quanto aveva già scritto un paio di anni prima da Paolo Pino, scrittore attivo a Venezia a metà '500, nonchè modesto pittore, nel suo breve trattato Dialogo di Pittura. Egli narra infatti come Giorgione, "a perpetua confusione degli scultori, dipinse in un quadro un San Georgio armato, in piedi, appostato sopra un tronco di lancia, con li piedi nelle estreme sponde d'una fonte limpida e chiara, nella qual trasverberava tutta la figura in scurto sino alla cima del capo; poscia aveva finto uno speccchio appostato a un tronco, nel qual rifletteva tutta la figura integra in chiena et un fianco. Vi finse un altro specchio dall'altra parte, nel quale si vedeva tutto l'altro lato del San Georgio, volendo sostenere che uno pittore può far vedere integralmente una figura a uno sguardo solo, che non può così far uno scultore; e fu questa opera, come cosa di Giorgione, perfettamente intesa in tutte le tre parti di pittura, cioè disegno, invenzione e colorire" [2].
La versione del dipinto narrata da Vasari presenta, oltre all'incongruenza compositiva più sopra rilevata, anche un'evidente incongruenza storica legata al riferimento ad Andrea Verrocchio morto nel 1488 mentre attendeva alla realizzazione finale del monumento equestre a Bartolomeo Colleoni, dato che a quell'epoca Giorgione avrebbe avuto circa 10 anni. Si protrebbe pensare allora che il riferimento vasariano vada spostato a quando il monumento equestre fu messo in opera il 15 novembre 1495 dal fonditore veneziano Alessandro Leopardi (riscrivendo idealmente il passo vasariano: "nel tempo che si andava facendo il cavallo di Andrea Verrocchio"), oppure il 21 marzo dell'anno successivo quando venne inaugurato il monumento.
Le due descrizioni riportate sembrano rispondere più ad una sensibilità manieristica sia per la ricchezza e complessità compositiva sia, e direi soprattutto, per la teorizzazione eccessivamente strumentale e artificiosa che sottendono circa il cosiddetto dibattito sul paragone delle arti.
Tuttavia a tali brani è stato accostato spesso un dipinto di Giovan Girolamo Savoldo, il cosiddetto Ritratto di Gaston De Foix del Musée du Louvre di Parigi datato al 1529 circa (fig. 1), la cui immagine è parzialmente osservabile su quattro lati grazie a due specchi e al corsaletto brunito in primo piano.
Giovan Girolamo Savoldo, Ritratto di Gaston de Foix, 1529 circa, olio su tela 91×123 cm
Parigi, Musée du Louvre
Come per le argomentazioni teoriche sopra riportate anche in questo dipinto è avvertibile una sensibilità già manierista evidente nel gusto virtuosistico e intellettualistico della raffigurazione. Il gioco di specchiature e la posa del personaggio che sembra indicare le sue immagini riflesse, appaiono infatti funzionali non tanto a realizzare in maniera effettiva i quattro lati di uno stesso soggetto, quanto piuttosto a suggerire la possibilità di poterli raffigurare. Non sappiamo se questo dipinto si ispiri al dipinto giorgionesco narrato nelle due versioni sopra citate, per altro molto diverse tra loro, di cui non esistono ulteriori indizi.
Tuttavia i singoli aspetti compositivi presenti, quali il riflesso sull'acqua, quello sulle armature e sugli specchi compaiono singolarmente espressi, almeno nel primo dei tre casi, già a partire dalla seconda metà del Quattrocento. In area Veneta, infatti, il riflesso sull'acqua è presente in un importante esempio costituito da un riquadro della Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani di Padova affrescato da Bono da Ferrara intorno al 1451, ora visibile solo in maniera frammentaria nelle sue parti originali, raffigurante San Cristoforo sulla riva del fiume con sulle spalle il giovane Gesù Bambino secondo la tradizionale iconografia di tale santo (fig. 2).
Bono da Ferrara,
San Cristoforo, 1451,
affresco, Padova, Chiesa degli Eremitani, Cappella Ovetari
In questa raffigurazione è ben osservabile il riflesso specchiato sia della figura di detto santo che di quello della più piccola figura di giovane. Le parole di Paolo Pino, per altro, sembrano trovare una suggestiva corrispondenza proprio con la figura del santo. Per quel che riguarda il riflesso sulle armature esso diventa un motivo riscontrabile in diverse opere della pittura veneta del primo Cinquecento, sia pure limitato ad alcuni dettagli. Gli esempi più significativi sono proprio nel più stretto ambito della pittura giorgionesca come il Ritratto del giovane Francesco Maria della Rovere (?) del Kunsthistorisches Museum di Vienna (fig. 3), o il cosiddetto Ritratto di arcere della National Gallery of Scotland di Edimburgo (fig. 4), opere attribuite da una parte della critica a Giorgione stesso.
Giorgione (attribuito),
Ritratto di Francesco Maria
della Rovere (?)
, 1502 circa,
olio su tavola trasferito su tela 73×64 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum


Giorgione (attribuito),
Ritratto di giovane (l'arciere),
olio su tavola 52x39,5 cm, Edimburgo, National Gallery of Scotland
Nel primo caso osserviamo i riflessi delle mani e del viso nel grande elmo che il giovane tiene in mano, nel secondo caso il riflesso della mano sul corsaletto brunito. Non mancano certamente altri esempi nelle opere di diversi autori veneti coevi tra i quali vogliamo qui ricordare solamente il Ritratto di cavaliere di Carpaccio della collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid (fig. 5), databile al 1510 circa, per altro da taluni identificato con Francesco Maria della Rovere effigiato alcuni anni prima nel dipinto viennese. Anche qui osserviamo nel corsaletto dell'armatura lucida il riflesso delle braccia che impugnano la spada.
Vittore Carpaccio,
Ritratto di cavaliere, 1510 circa, tempera su tela 218x152 cm, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
Infine il tema dell'immagine riflessa nello specchio è anch'essa presente nella pittura veneta, soprattutto come riferimento allegorico al concetto di vanitas. Tra gli esempi che possiamo citare vi è quella di un'opera di analogo soggetto raffigurante una Donna allo specchio dipinta da Giovanni Bellini (Kunsthistorisches Museum di Vienna) (fig. 6), databile tra le ultime opere dell'artista intorno al 1515 e da Tiziano (Musée du Louvre di Parigi) (fig. 7) realizzata inotrno al 1512 – 1515.
Giovanni Bellini,
Donna allo specchio, 1515 circa, olio su tavola 62×79 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum


Tiziano,
Donna allo specchio, 1512 – 1515, olio su tela 96×76 cm, Parigi, Musée du Louvre
In conclusione non sappiamo se un tale dipinto sia stato effettivamente realizzato dal maestro di Castelfranco, sappiamo però che il confronto con la scultura fu alla base dello sforzo di creare un nuovo plasticismo nell'opera di Leonardo che molta parte ebbe anche in un analogo sviluppo dell'opera giorgionesca. Se in Leonardo il confronto con la scultura avvenne soprattutto sul piano compositivo, ci piace immaginare che tale confronto possa essere stato declinato dal giovane Giorgione, ancora lontano dalla conquista della pittura tonale e con una sorta di intento programmatico, attraverso un fenomeno ottico che fa parte della cultura veneziana per antonomasia, che investe tanto i suoi mosaici quanto le sue vie d'acqua: quello della luce riflessa.


Redazione di venetocultura.org


[1] G. Vasari, Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri, Firenze 1568 ed. A cura di G. Milanesi, I – IX, Firenze 1878 – 1885, ed. 1906, IV.

[2] P. Barocchi, Scritti d'Arte del Cinquecento, I – III, Milano – Napoli 1971 – 1977, I.
Per una breve trattazione del paragone delle arti e per il confronto tra pittura e scultura nel XVI secolo si veda: M. Collareta, Le "arti sorelle". Teoria e pratica del "paragone", in La Pittura in Italia. Il Cinquecento, I – II, Milano 1988, I, pp. 569 – 580.