[1] Anonimo Morelliano (Marcantonio Michiel), Notizia d'opere di disegno, Bassano 1800, p. 66.
Giorgione, Nuda dormiente (Venere), Dresda, Gemäldegalerie
Tiziano, Venere di Urbino, Firenze, Uffizi
Edouard Manet, Olympia, Parigi Musée d'Orsay
[2] K. Clark, The nude, a study of ideal art, London 1956, ed. it. Il nudo. Una storia della forma ideale, Vicenza 1995, p. 119.
Niobide, Roma, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme
[3] Ibid.
[4] B. Berenson, The italian painters of the Renaissance, London 1952, ed it. I pittori italiani del Rinascimento, Milano 1997, p. 31.
"LA TELA DELLA VENERE NUDA CHE DORME IN UNO PAESE…"
GIORGIONE E LE ORIGINI DI UN MODELLO

"La tela della venere nuda che dorme in uno paese" [1] dipinta da Giorgione (1510 circa, Dresda, Gemäldegalerie) che Marcantonio Michiel vide nel 1525 a Venezia in casa di Gerolamo Marcello e la cosiddetta Venere di Urbino di Tiziano (1538 circa, Firenze, Uffizi), è uno di quei confronti spesso chiamato in causa per sottolineare le differenze tra i due maestri della pittura veneziana del Rinascimento.
Tiziano, infatti, riprende nel suo dipinto il modello della tela giorgionesca che egli ben conosceva, essendo intervenuto da giovane su di essa con delle integrazioni pittoriche, probabilmente per completare il dipinto lasciato incompiuto da Giorgione a causa della sua morte. Il dipinto tizianesco, attraverso il modello che l'ha preceduta, è all'origine di uno dei più fortunati motivi iconografici della storia della pittura che passando per Velázquez, Goya ed Ingres, arriva fino a Manet, una fortuna iconografica celebrata anche nella recente mostra veneziana di Palazzo Ducale da poco conclusa.
Del dipinto giorgionesco si è notato l'aspetto sognante e quasi etereo della figura in confronto al maggiore realismo e sensualità del modello tizianesco, sia sul piano iconografico che stilistico. La figura di quest'ultimo, infatti, rappresentata all'interno di un palazzo signorile mentre ci osserva, instaura con noi un rapporto più diretto e intimo. Ma qui vogliamo porre l'attenzione sull'aspetto che, a nostro avviso, costituisce la maggiore differenza tra le due opere e che ci pare giustificare a pieno le parole di Kennth Clark il quale osservava come "la posa della Venere di Giorgione appare così serena e naturale che, al primo momento, non ci accorgiamo di quanto sia originale". La figura, come osservava il grande studioso britannico, è delineata da un profilo chiuso e allungato attraverso il quale essa "sembra sollevata al di sopra del mondo materiale"[2]. Questa purezza formale è ottenuta soprattutto per mezzo del braccio destro che la figura piega dietro la testa formando un angolo acuto. Questo particolare motivo lo ritroviamo fin dall'antichità ma esso veniva usato per rappresentare dolore e tensione drammatica, come per le figure dei cosiddetti Niobidi (i figli di Niobe uccisi da Apollo e Diana) di cui si trova testimonianza in alcuni esempi della scultura greca del V secolo a. c. .
Attraverso la purezza formale della sua figura quindi, Giorgione trasfigura tale posa forzata del braccio in un gesto di rilassatezza e quiete. La sua innaturalezza non incrina minimamente la perfetta armonia della figura le cui forme sinuose ed allungate di gusto ancora gotico trovano eco nei profili del paesaggio. È una figura che ha la "quieta semplicità", per usare le parole di Winckelmann, delle figure classiche, senza essere classica sia nelle proporzioni allungate che nella posa un poco artificiosa del braccio. Un'iconografia la cui classicità ci fa sorprendere di come, secondo quanto ricorda opportunamente Clark, "nessuna opera famosa dell'antichità abbia per soggetto una figura di donna nuda sdraiata, sebbene la si trovi talvolta agli angoli dei sarcofagi bacchici"[3]. In questo senso, allora, si può ripensare anche alla perentoria affermazione del grande Bernard Berenson che nel parlare del maestro di Castelfranco afferma come "sarebbe effettivamente difficile dire di Giorgione qualcosa più di questo: che le sue opere sono il limpido specchio della Rinascenza alla sua altezza suprema"[4]. È questa una delle magie dell'arte giorgionesca, sospesa tra antico e moderno, in cui forma quattrocentesca e sensibilità cinquecentesca si fondono in un equilibrio tanto affascinante quanto sottile.

Redazione di venetocultura.org