BREVI NOTE SULLA PALA D'ALTARE NEL CINQUECENTO

Opera d'arte sacra per eccellenza in cui ci imbattiamo nei luoghi di culto è la pala d'altare. Per un pittore del Cinquecento la realizzazione di una pala, tra le tante altre commissioni ricevute, era sicuramente una delle più importanti e appaganti, perché si trattava di un'opera a carattere pubblico, destinata all'altare della chiesa, e contribuiva a creare il successo, il prestigio della sua bottega e a farsi conoscere (ancora di più se era collocata nell'altar maggiore della chiesa principale). Per una affermata e attiva bottega di pittori, il confronto con questa tipologia di opera era un passaggio obbligato e permetteva al pittore di cimentarsi con una materia sacra e il suo vasto repertorio, sottoposto a varianti, ma che spesso seguiva una consolidata tradizione.
Lorenzo Lotto, Brigida prende l'abito monacale 1524 Cappella Suardi, Trescore (Bergamo)
La committenza era molto variegata. I parroci, i pievani, i vescovi, ma anche gli amministratori del potere (sindaci, podestà, rettori), le famiglie nobili e benestanti, gli ordini religiosi, le corporazioni di arti e mestieri, le confraternite, chiamavano i pittori per realizzare pale d'altare destinate all'altar maggiore o agli altari laterali della chiesa, concessi, questi ultimi, oltre che quale luogo per officiare le sacre funzioni, quale luogo di sepoltura. Nel corso del Rinascimento si ebbe un notevole incremento di cappelle funerarie private, con relativo altare: molte famiglie nobili detenevano lo iuspatronato di altari laterali, dove ricavavano la spazio per la tomba di famiglia; anche le confraternite e le fraglie acquistavano altari laterali, che dedicavano al loro santo patrono. La pala d'altare (o palla o ancona, come si legge nei documenti cinquecenteschi) era una sorta di "dispositivo" pittorico funzionale alla liturgia eucaristica, punto focale dell'altare (sopra la mensa) e intermediario tra la sfera dell'umano e quella del sacro; essa esprimeva la devozione, il culto e la preghiera di una comunità o di un singolo: secondo la mentalità dell'epoca, questo tipo di manufatto veniva richiesto per assicurarsi un posto in Paradiso e ottenere la promessa e sperata salvezza, attraverso la preghiera e l'intercessione della Madonna e dei santi raffigurati. Il pittore era così chiamato a tradurre per immagini questa fede e questo insieme di valori condivisi. La scelta del soggetto spettava al committente e questo veniva brevemente descritto nel contratto stipulato tra le due parti (che conteneva, tra le altre informazioni, il prezzo e la destinazione). Le occasioni potevano essere varie: la ristrutturazione di una chiesa, l'erezione di una nuova cappella o altare, il sorgere di una confraternita, l'adempimento di un voto, la visita pastorale di un vescovo. Inoltre, nella commissione di una pala, potevano intrecciarsi aspirazioni, identità e velleità pubbliche e private, celebrazioni e devozioni familiari o comunitarie. Possiamo trovare la pala d'altare in forma duplice: o pala unificata, che rispondeva al nuovo linguaggio prospettico rinascimentale, o polittico, formato da più pannelli (quest'ultimo modello era più antiquato ma ancora diffuso nel corso del Cinquecento).
Vittore Carpaccio, Apparizione dei crocifissi del monte Ararat nella chiesa di Sant' Antonio di Castello 1512-1513 Gallerie dell'Accademia, Venezia
Uno dei soggetti più diffusi nelle pale d'altare del Cinquecento è la cosiddetta "sacra conversazione" [1], di impianto più convenzionale, che vede la Madonna col Bambino (o il santo titolare) in posizione sopraelevata, su un podio o trono, o tra le nuvole, attorniati da santi e da angeli musicanti [2]. L'ambientazione può essere interna, entro una struttura architettonica a mo' di abside o nicchia o sacello, o all'aperto, con un paesaggio sullo sfondo. Naturalmente è Maria la più rappresentata nelle pale: in quanto madre di Dio, cooperatrice della redenzione e della salvezza, corredentrice, le spetta un ruolo di prim'ordine, sul trono regale, sede della Sapienza (come recita una litania mariana), a cui si aggiungono le numerose festività a lei dedicate. La devozione popolare vedeva nella Vergine la mediatrice di tutte la grazie, e la consolatrice e protettrice per eccellenza. Dopo la Madonna, com'è noto, all'epoca era molto diffuso e praticato da tutti gli strati della società il culto dei santi [3], che trovava espressione proprio nelle pale. I santi più rappresentati nelle pale cinquecentesche sono Giovanni Battista [4], Sebastiano e Rocco (da soli o, più spesso, in coppia) e Antonio abate, invocato in particolare a protezione del bestiame. Altri santi molto diffusi sono Pietro e Paolo (le colonne della chiesa), Giacomo, Caterina d'Alessandria, Nicola, Francesco, Girolamo. Le iconografie spesso vengono attinte da quel grande repertorio agiografico medievale che è la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine; ogni santo è accompagnato da uno specifico attributo iconografico, che riassume in sé un episodio o una caratteristica della vita del santo, tale da permettere una più facile individuazione. La scelta del santo è dettata da una particolare devozione. Possono essere santi titolari e patroni (dell'altare, della chiesa, della diocesi, della città, dell'ordine religioso, della corporazione), santi invocati tradizionalmente dal popolo, santi eponimi/patronimici. Tra i santi troviamo soprattutto quelli invocati contro le malattie o altre calamità (sono soprattutto i santi invocati durante la peste, Rocco e Sebastiano [5]). I santi erano considerati modelli di vita, una testimonianza di fede; i predicatori li ponevano come exempla di moralità e virtù, a cui il fedele poteva rivolgersi con preghiere e suppliche. Erano sentiti vicini dal popolo, che li invocava per malattie e sventure, perché loro stessi hanno sperimentato le sofferenze e il dolore, e in Dio hanno trovato la pace e la misericordia. Il Concilio legittimò il potere di intercessione dei santi presso Cristo e Dio in favore degli uomini per ottenere la salvezza. Ci sono poi pale "narrative", che raffigurano una scena tratta dai testi sacri o dai testi agiografici; sono più articolate e più facilmente sottoposte a impaginazioni diverse e variabili. Venivano scelti, per esempio, episodi del Vangelo o fatti esemplari della vita di un santo (soprattutto i miracoli e il martirio).
Johann Carl Loth (copia da Tiziano), Uccisione di San Pietro da Verona (l'originale risalente al 1528-1530 fu distrutto in un incendio il 16 agosto 1857) Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia
La seconda metà del secolo è caratterizzata dal clima della Controriforma. Il Concilio di Trento (1545-1563) [6] dispose una serie di normative che portarono a un rigido disciplinamento in materia religiosa [7]. Il Concilio diede impulso al rinnovamento delle sedi ecclesiastiche e alla produzione di opere d'arte: un'opera d'arte sacra, per i padri conciliari, doveva avere come scopi quelli di insegnare, ricordare e commuovere. Furono eseguite soprattutto pale d'altare [8], che illustravano e celebravano l'ortodossia cattolica, in primis il valore dell'Eucaristia, celebrato nell'altare, contestato dai protestanti e valorizzato per contro con l'istituzione delle cappelle del Santissimo Sacramento (da questo motivo i numerosi temi eucaristici dell'Ultima Cena, quelli cristologici sul sacrificio e la passione di Cristo: Crocifissione e Deposizione) [9], e un rinnovato culto per i santi, che si tradusse in un incremento della loro raffigurazione e venerazione, e per la Madonna (si vedano le numerose storie della Vergine e in particolare il tema dell'Assunzione) [10]. Fu attuato un controllo più severo delle immagini, mettendo al bando tutto quello che si discostava dai dettami della Chiesa: via i riferimenti a testi apocrifi o eretici, via l'eleganza profana e provocante, a vantaggio delle storie autentiche della Bibbia o dei santi contemporanei. Le immagini di Cristo, della Madonna e dei santi potevano essere oggetto di venerazione in quanto esse rappresentavano veicoli per favorire l'invocazione e la preghiera, mezzi di istruzione alla fede. Scriveva il cardinale Paleotti, proprio in questo contesto di disciplinamento delle immagini sacre, che «i dipinti dovrebbero essere tali da operare due cose: commuovere i sensi ed eccitare lo spirito e la devozione». Peter Humfrey ha illustrato l'evoluzione della pala in questo secolo denso di movimenti religiosi e spinte riformistiche, che si sono riflessi sulle pale e i loro contenuti. La pala d'altare diventa così un'opera di interpretazione e di traduzione delle volontà e dei gusti della Chiesa [11]. È dunque importante il peso che ebbe nelle manifestazioni artistiche di questo periodo la Riforma Cattolica. La produzione di immagini religiose in tale contesto è quanto mai articolata, variegata e complessa, in un dialogo che coinvolge gruppi diversi: autorità ecclesiastiche, esigenze laiche e operazioni artistiche. le commissioni di questo genere erano accomunate dalla volontà di rendere più decoroso, da parte di pievani e parroci, il proprio luogo di culto. In virtù della forza espressiva e del suo carattere visivo, la pittura si mise a disposizione della Chiesa per trasmettere e comunicare i messaggi e i contenuti della fede e della salvezza cristiana, e per visualizzarne l'insegnamento dottrinale. Anche le confraternite [12], associazioni di laici con vari tipi di impegno religioso e assistenziale, svolsero un ruolo significativo all'interno di questo clima, contribuendo a rinforzare la vita sociale e religiosa delle parrocchie dove operavano. Nella terraferma veneta troviamo sia pale d'altare che rispettano i nuovi dettami ecclesiastici (nella scelta dei soggetti, negli intenti didascalici e nella raffigurazione dei santi), favorite dalla sollecitudine dei vescovi durante le visite pastorali; sia (e soprattutto) opere che risentono ancora del passato e dei modelli precedenti, come appunto le sacre conversazioni, frutto di una devozione più popolare, che si traduce in uno stile pittorico altrettanto popolare, con impianti compositivi e immagini semplici ed essenziali. Nei territori di provincia e di periferia della Serenissima è più facile imbattersi in opere più tradizionali, senza troppe pretese artistiche o stilistiche, senza troppi dettagli carichi di senso o significato. Ma ci sono sempre le eccezioni, quando in questi contesti si inseriscono persone di cultura, che hanno contatti con Venezia e il suo mondo ricco e cosmopolita. Spesso in molte pale spuntano i ritratti dei committenti che hanno finanziato e voluto l'opera, come affermazione sociale del loro ruolo (e della loro autorità, se si trattava del rettore) e per manifestare visivamente la loro devozione (tradotto nelle mani giunte, in atteggiamento raccolto), segno di partecipazione e inserimento nella scena rappresentata, che viene così attualizzata e "personalizzata".
Jacopo e Domenico Tintoretto, I Santi Bartolomeo, Benedetto e il beato Bernardo Tolomei e i committenti Bartolomeo e Battista Malmignati Santuario di Nostra Signora del Pilastrello, Lendinara (Rovigo)
Negli sfondi delle pale non era poi raro intravedere paesaggi familiari e riconoscibili: questi inserimenti, come il precedente, testimoniano una concezione della religione come dimensione quotidiana e un modo per attualizzare l'esperienza della fede e viverla più intensamente, tramite le immagini, che spesso calavano l'episodio nella propria realtà, e anche per riconoscere nell'evento sacro un'azione e un intervento da parte del divino verso il proprio ambiente. La pala, di forma rettangolare, a impianto verticale e terminante sulla sommità in forma centinata, che poteva essere su tavola o su tela, faceva parte di un complesso più ampio, un insieme di pittura, scultura e architettura: come si diceva, l'immagine sacra s'innalzava sopra o dietro l'altare vero e proprio (la mensa eucaristica), incorniciata in un'alzata (o dossale), struttura in legno o in marmo, più o meno elaborata e decorata, che presentava elementi architettonici e scultorei [13]. Questi complessi altaristici sono stati continuamente sottoposti a cambiamenti, manomissioni, rifacimenti, ricostruzioni, restauri antichi e moderni, seguendo le vicende storiche della chiesa e i mutamenti di gusto delle varie epoche, e sono rari quelli originari. Molte pale sono state spostate da altare a altare, o anche da chiesa a chiesa, o peggio trafugate e trasferite nei musei (in particolare durante i saccheggi napoleonici che seguirono la soppressione degli ordini religiosi del 1810). In un museo inevitabilmente la pala d'altare, così decontestualizzata, tolta dall'altare, "muore", perdendo la sua originaria funzione per trasformarsi in semplice "quadro", tela o tavola, fruito da un pubblico diverso e con diverse aspettative.


Giorgio Reolon


1 Definizione usata dagli storici dell'arte a partire dal XIX secolo per indicare un allegorico consesso di santi in un muto colloquio divino. «L'espressione "sacra conversazione" in tale contesto va intesa in senso figurato, perché questi santi in effetti non parlano, ma si esprimono interiormente, con una meditazione sulla Vergine col Bambino, presente al loro spirito come lo è realmente agli occhi dell'osservatore, al quale la conversazione viene offerta come un invito alla contemplazione sulla Vergine Madre e sul Cristo» (CATARINA SCHMIDT, La "sacra conversazione" nella pittura veneta, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento (tomo II), a cura di MAURO LUCCO, Milano, Electa, 1990, pp. 710-11). Cfr. anche RONA GOFFEN, "Nostra Conversatio in Coelis est": Observationes on the Sacra Conversazione in the Trecento, «The Art Bulletin», LCXI, 1979, pp. 198-222.
2 La presenza di angeli musicanti ai piedi del trono, con cembali o altri strumenti musicali, può alludere al salmo 150, dove si legge «Lodatelo (=il Signore) con squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra, lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui flauti. Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti; ogni vivente dia lode al Signore».
3 Sulle immagini dei santi nelle pale e la loro importanza cfr. PETER HUMFREY, La pala d'altare veneta nell'età delle riforme, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento (tomo III), a cura di MAURO LUCCO, Milano, Electa, 1999, pp. 1147-51; PETER BURKE, Cultura e società nell'Italia del Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 165-66.
4 Giovanni Battista è al primo posto nella pittura italiana (vedi ibidem).
5 Per il culto di Rocco e Sebastiano e la loro fortuna iconografica per la protezione dalla peste, si veda il saggio di STEFANIA MASON RINALDI, Le immagini della peste nella cultura figurativa veneziana, in Venezia e la peste, 1348-1797, catalogo della mostra, a cura di ORAZIO PUGLIESE, Venezia, Marsilio, 1979, pp. 209-224.
6 Il Concilio di Trento era orientato soprattutto verso la valorizzazione dei sacramenti, il rinnovamento della vita pastorale (sinodi, visite pastorali), la riforma del clero, la nuova organizzazione delle parrocchie e l'evangelizzazione tra la gente. Per una sintesi storica su questa tematica si vedano ELENA BONORA, La Controriforma, Roma-Bari, Laterza, 2001, e ADRIANO PROSPERI, Il Concilio di Trento. Una introduzione storica, Torino, Einaudi, 2001.
7 Le immagini sacre vengono trattate all'interno della sessione XXV del Concilio tridentino (3-4 dicembre 1563), in un decreto intitolato "Della invocazione, della venerazione e delle reliquie dei santi e delle sacre immagini", sulla venerazione dei santi e sulla legittimità dell'uso di immagini sacre. Si vedano HUMFREY, La pala d'altare... cit., in La pittura nel Veneto... cit., pp. 1133-1138: 1134.
8 Dopo il Concilio molti altari furono rinnovati o costruiti ex novo, anche per le nuove disposizioni relative al tabernacolo del Santissimo, con il conseguente aumento della richiesta di nuove pale, che spesso andavano a sostituire quelle precedenti.
9 Sulla diffusione dei temi eucaristici vedi HUMFREY, La pala d'altare... cit., in La pittura nel Veneto... cit., pp. 1138-45.
10 Sul diffondersi di temi mariani vedi ivi, pp. 1151-61.
11 «La pala d'altare avrebbe espresso più di ogni altro il fermento religioso che accompagnava la Riforma e la Controriforma. Per definizione posta sopra l'altare, a stretto contatto visivo, fisico e spirituale con il luogo della celebrazione liturgica, la pala risentì degli effetti di molti dei più vivaci dibattiti religiosi del periodo, che investirono vari dogmi della dottrina cattolica» (ivi, p. 1119).
12 Cfr. CHRISTOPHER BLACK, Le confraternite italiane del Cinquecento. Filantropia, carità, volontariato nell'età della Riforma e Controriforma, Milano, Rizzoli, 1992.
13 Degno di nota è il fatto che il costo della cornice lignea intagliata e dorata era di gran lunga maggiore di quello del dipinto.



Nota bibliografica essenziale
- STEFANIA MASON RINALDI, Le immagini della peste nella cultura figurativa veneziana, in Venezia e la peste, 1348-1797, catalogo della mostra, a cura di ORAZIO PUGLIESE, Venezia, Marsilio, 1979, pp. 209-224.
- CATARINA SCHMIDT, La "sacra conversazione" nella pittura veneta, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento (tomo II), a cura di MAURO LUCCO, Milano, Electa, 1990, pp. 710-11.
- MICHELANGELO MURARO, La pala d'altare nella bottega di Francesco il Vecchio e Jacopo Dal Ponte: dalla commissione alla messa in opera, «Arte Documento», 5, 1991, pp. 92-101.
- PETER HUMFREY, The altarpiece in Renaissance Venice, New Haven and London, Yale University Press, 1993.
- PETER HUMFREY, La pala d'altare veneta nell'età delle riforme, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento (tomo III), a cura di MAURO LUCCO, Milano, Electa, 1999, pp. 1119-1180.
- JAN VAN LAARHOVEN, Storia dell'arte cristiana, Milano, Bruno Mondadori, 1999.
- MICHAEL BAXANDALL, Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Torino, Einaudi, 2001.
- PETER BURKE, Cultura e società nell'Italia del Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 2001.
- ROSA GIORGI, Santi, Milano, Electa, 2002.
- FERNANDO e GIOIA LANZI, Come riconoscere i santi e i patroni nell'arte e nelle immagini popolari, Roma, Città Nuova, 2003.
- ANDRÉ CHASTEL, Storia della pala d'altare nel Rinascimento italiano, Milano, Bruno Mondadori, 2006.
- I santi nella storia (13 volumi), Milano, S. Paolo, 2006.