Nicolò Pizzolo, o Pizolo (Villaganzerla, 1420 circa – Padova, 1453) e Giovanni da Pisa



Madonna in trono con il Bambino e i santi Antonio da Padova, Pietro Martire, Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Antonio Abate
Terracotta, 130x235 cm
Padova, Chiesa degli Eremitani

L'esecuzione di questa pala scultorea venne commissionata nel contratto del 16 maggio 1448 a Nicolò Pizolo e Andrea Mantegna contestualmente agli affreschi che dovevano decorare la cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani di Padova. Vi era scritto come tali artisti dovevano impegnarsi a "facere unam pallam seu anconam super altari de medio relievo sub forma coram me notario et testibus infrascriptis hostensa et per ambas partes aprobata". I due artisti dovettero presentare alla committenza un progetto da sottoporre a giudizio che poteva consistere in un dipinto o un disegno oppure un modello in cera. Successivamente però dovettero intervenire dei disaccordi tra i due artisti al punto da arrivare ad un arbitrato pubblico il 27 settembre 1449. In tale occasione Mantegna venne sciolto dall'incarico che fu lasciato al solo Nicolò. Non sappiamo però fino a che punto, dopo più di un anno dalla data del contratto, era arrivata la lavorazione della pala, ma probabilmente non era ancora stata modellata. In un secondo tempo dovette subentrare la collaborazione di Giovanni da Pisa, artista ancora misterioso agli studiosi, che i documenti testimoniano collaboratore di Donatello a Padova nella realizzazione dell'altar maggiore della basilica del Santo. Proprio a quel modello che si andava realizzando in quegli stessi anni e che si concluderà nell'ottobre del 1453 si rifà chiaramente questa scultura in terracotta costituendo a sua volta un modello imprescindibile, in pittura, nel passaggio dal polittico alla pala a spazio unificato. In quello stesso anno moriva Nicolò a causa della ferita riportata in una rissa con il suo maestro, e quello di Mantegna, Francesco Squarcione. Non sappiamo lo stato dei lavori dell'opera quando intervenne questo tragico evento, ma è probabile che il suo completamento venne portato a termine dallo scultore pisano. L'opera in origine si presentava con una decorazione pittorica policroma che ne metteva in evidenza gli aspetti naturalistici della modellazione a rilievo, comprendente anche parti in doratura come le aureole dei santi o i decori del manto della Vergine. Sfortunatamente tale decorazione andò perduta nei secoli fino a quando non si decise di dipingere la terracotta con una tinta scura a imitazione del bronzo. Nel XVI secolo il patrizio veneziano Marcantonio Michiel cita la pala affermando senza alcun dubbio che "le figure de terra cotta tutte tonde sopra l'altar de ditta capella furono de mano de Zuan da Pisa compagno de Donatello, et suo arleuo, chel detto menò seco a Padoa". Ad oggi però gli studi su quest'opera fondamentale per la nascita della pala d'altare rinascimentale in Veneto, tendono a collocare il contributo di Giovanni soprattutto nella fase finale della lavorazione, probabilmente lasciata interrotta alla morte di Nicolò. Sul piano stilistico mostra una straordinaria modernità nella descrizione delle figure che occupano con disinvoltura lo spazio, relazionandosi fra loro con differenti espressioni del viso e posture del corpo e contribuendo ad aumentare la percezione dello spazio illuso in cui sono inserite, costituito da una stanza delimitata da pilastri aggettanti e chiusa nel fondo da un tendaggio. Nella trabeazione soprastante si osserva un corteo festoso di putti che sembra reinterpretare antichi modelli di cortei bacchici della scultura classica. L'intera composizione è coronata sulla sommità dalla figura dell'Eterno Padre che guarda in basso verso il gruppo dei santi, circoscritto in una mandorla formata da due cornucopie congiunte.